Catechesi Parte 3 - Amici di Lourdes

Amici di Lourdes
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La spiritualità San Riccardo Pampuri
III parte
Spiritualità contemplativa e operosa
«Tutto è esclusivo dono della gratuita bontà di Dio. Dobbiamo adunque mostragli tutta la nostra riconoscenza sia col cuore che con le opere, ed anzitutto compiendo bene, cioè a tempo giusto, con prontezza, diligenza ed amore, tutti i nostri doveri ordinari quotidiani, sempre memori che nulla è piccolo nella Casa del Signore ed anche il minimo ufficio ivi è sempre grande e ricco di meriti, specialmente se compiuto con amore. Un mezzo poi sicuro per agire sempre bene e meritoriamente, come già ti avranno certo insegnato è quello di far tutto per il Signore, ricordandoci della sua Divina Presenza». Così fra Riccardo, da Brescia, il 27 ottobre 1928, scriveva al nipote Giovanni (che aveva intrapreso il cammino verso il sacerdozio, ma poi dovette rinunciarvi per motivi di salute); espressione che ben presenta il suo stile di vivere in modo inscindibile preghiera e azione, fede e carità, contemplazione e azione, comunione con Dio e servizio ai fratelli.  
La sua era una spiritualità contemplativa e operosa, in un equilibrato connubio, dove però la preghiera era per lui un’attività irrinunciabile, che doveva avere il primato nella vita e che doveva caratterizzare e “innervare” ogni giornata che, come ha testimoniato la sorella Margherita, che con lui ha vissuto gli anni nei quali era medico condotto a Morimondo, era così scandita: «Ore 7 levata (d’estate si alzava prima). Messa, Comunione, colazione, visita ai malati per la condotta. Ore 12 tornava: visita al SS. Sacramento, pranzo, lettura o studio (tranne che non vi fossero molti ammalati da visitare, nel qual caso riprendeva subito il giro). Visite. Verso sera, secondo il lavoro, tornava: visita al SS. Sacramento, cena, Rosario, Benedizione eucaristica in chiesa, studio, Rosario insieme a me. Riposo verso le ore 10, 10 e mezzo o le 11, secondo le sere, perché spesso si tratteneva nel Circolo con i giovani o col Corpo musicale»[1].
Questa spiritualità gli aveva permesso di strutturare in modo regolare la sua giornata, che aveva sempre al centro la preghiera (con essa la iniziava e la terminava, dedicandole anche uno spazio dopo il pranzo), alla quale non rinunciava mai, mentre invece era pronto a tralasciare la lettura o lo studio (ed anche un po’ di meritato riposo), se doveva visitare altri ammalati o questi erano particolarmente gravi. Si comprende come proprio dalla preghiera trovava la forza e l’aiuto per la perseveranza nel suo servizio, perché tutto faceva per il Signore e anche il servizio diventava occasione di offerta a Lui.
Si può affermare che san Riccardo, fin da giovane, “gustava” la preghiera; era per lui un vero e saporito nutrimento dell’anima; una preghiera, autentica ed intima unione con Dio, che non portava ad un quietismo, ad una tranquillità apatica, ma fruttificava in un attivismo prodigioso (non certo l’affanno e l’eccessiva preoccupazione di Marta, tutta presa solo dal servizio, cfr. Lc 10,38-42), che portava beneficio a tutte le persone che accostava: ammalti, contadini, colleghi, sacerdoti, giovani. Possiamo affermare che nella sua spiritualità contemplativa e operosa il nostro Santo vive già quanto alcuni decenni dopo dirà papa Giovanni Polo II: «Pregare non significa evadere dalla storia e dai problemi che essa presenta; al contrario, è scegliere di affrontare la realtà non da soli, ma con la forza che viene dall’alto, la forza della verità e dell’amore, la cui sorgente è in Dio» (24. 01.2002).
Ogni occasione era per lui propizia per innalzare preghiere e lodi a Dio o per invitare alla preghiera; anche dal dono di un orologio e dal suo “normale” uso trae ispirazione per scrivere alla sorella suora (destinataria del dono): «Ricordati di noi quando lo guardi e prega che ogni istante da lui segnato non passi inutile per noi, ma ben speso a gloria del Signore ed a salute dell’anima nostra» (5 agosto 1921). Sono poi toccanti i passi di alcune lettere nei quali, da attento e orante “viaggiatore” per la sua ampia condotta, scrive come vede la costante opera di Dio e la sua premurosa Provvidenza «nel verde giocondo degli alberi e dei prati e fra i boschi disseminati dei più preziosi e variopinti fiori! Come tutto questo richiama la illimitata, infinita bontà del Creatore che con tanta generosità e prodigalità dissemina ed alterna tante bellezze a nostro conforto, diletto ed insegnamento» (2 maggio 1926); «anche sulla terra, in ogni suo angolo ove appena scorre un limpido ruscello o sgorghi un’umile e chiara fonte, (essa) ci mostra riflesse le bellezze del cielo, con lo splendore del suo sole di giorno ed il raccolto e quasi religioso scintillare delle stelle nelle notti serene» (22 giugno 1926).
Questa spiritualità lo portava ad una preghiera che, dicono alcuni testimoni, lo rendeva immobile, assorto, inconscio di ciò che avveniva intorno a lui[2]; pareva che fosse sempre assorto in estasi, tanto il fervore con cui la faceva[3]; ad accostarsi ogni giorno, nel Collegio dove era convittore, alla Santa Comunione e al sacramento della Riconciliazione[4]; ad essere di edificazione ai fedeli per il fervore e la gioia che si leggeva nel suo volto dopo aver ricevuto la Comunione[5]; nella consapevolezza che nel suo modo di pregare, così evidente, non vi era nulla di ricercato, ostentato, ma tutto spontaneo e naturale.
Una spiritualità che emerge anche nella puntualizzazione di alcuni propositi che lo stesso san Riccardo aveva stilato prima della Professione Religiosa, durante il corso di Esercizi Spirituali in preparazione al Rito:
1. Pensa sempre al tuo fine, ed a questo tutto indirizza.
2. Non occuparti di ciò che non spetta a te, ma prega il Signore che illumini cui spetta attendervi;
3. Bene age quod agis (fai bene quello che fai), facendo tutto:
a) con carità grande, vedendo nei Superiori Confratelli e Malati, Dio stesso;
b) con prontezza, senza precipitazione,
c) con tranquillità, ordine e semplicità, senza troppo filosofarvi sopra, contento sempre di fare la volontà di Dio, e lasciando a Lui la cura del resto,
d) pensando nelle prove e umiliazioni a quanto dovresti soffrire per sempre nell’inferno, se Gesù Cristo non ti avesse un’infinità di volte cavato: e quanti tormenti e umiliazioni ha Egli sofferto in tua vece!
e) dopo aver agito rimani sempre tranquillo, a Dio riferendo ogni bene e chiedendo fiduciosamente perdono per gli errori tuoi.
4. Avrò fiducia illimitata nella bontà del Signore e nella protezione di Maria SS., del mio S. Angelo Custode, S. Padre Giovanni di Dio e del Santo del mio nome.
5. Cercherò di non giudicare mai, o giudicare bene, caritatevolmente.
6. Mi sforzerò di mantenere il più possibile il raccoglimento interiore, aiutandomi con la meditazione e la preghiera[6]. (19 ottobre 1928)
Nel vivere la spiritualità contemplativa e operosa san Riccardo ha praticato fedelmente quanto aveva espresso in alcune lettere, quando ancora era medico condotto: «Il Signore voglia concedermi la grazia di sempre più avvicinarmi a Lui, più chiaramente conoscerLo, più ardentemente amarLo, più fedelmente servirLo» (28 aprile 1923); «Ho bisogno di raccogliermi un po’ in me stesso alla presenza del Signore, perché l’anima mia non si inaridisca e perda in sterili e dannose preoccupazioni esterne» (15 marzo1925).
Spiritualità apostolica
Questo aspetto della spiritualità di san Riccardo è ben riassunto da un’affermazione di san Tommaso d’Aquino, per il quale l’apostolato è: «contemplari et contemplata aliis tra­dere»[7], che possiamo tradurre come: contemplare, attingere la verità nell’ascolto e nella comunione con Dio e donare agli altri il frutto della propria contemplazione. È quello che il nostro Santo ha compiuto con coerenza e costanza, attraverso la sua vita di preghiera, che era vero e proprio momento di contemplazione (adorazione eucaristica, santo rosario, meditazione della Parola di Dio), che poi diventava condivisione, consiglio, esortazione, …, in tutto diventando testimone e annunciatore di Cristo Salvatore, perché Lui venisse conosciuto, amato, adorato e ogni persona trovasse in Lui la salvezza.
San Riccardo era consapevole di questa missione, originata per ogni cristiano dagli impegni del Battesimo (professare pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa  e a partecipare all’attività apostolica e missionaria del popolo di Dio[8]) e della Confermazione (che accorda una speciale forza dello Spirito Santo per diffondere e difendere con la parola e con l’azione la fede, come veri testimoni di Cristo, per confessare coraggiosamente il nome di Cristo e per non vergognarci mai della sua croce[9]), per cui, pur nei suoi gravosi impegni di medico condotto, si ricavava del tempo per dare «buoni consigli agli uomini, specialmente ai giovani. A Pasqua e nelle feste principali dell’anno, radunava i giovani e anche gli uomini, li esortava ad accostarsi ai sacramenti e poi tutti insieme li accompagnava a fare la S. Comunione insieme con lui. Anche i più restii cedevano ai suoi insistenti inviti fatti con tante belle maniere, vinti dal suo esempio»[10].
Inoltre «raccoglieva i ragazzi di Morimondo e li istruiva nella dottrina cristiana, li faceva giocare e li accompagnava a fare belle passeggiate. Un paio di volte all’anno, a piccoli gruppi, li portava a fare gli Esercizi Spirituali, pagando tutto lui. (…) A Morimondo c’era la Confraternita del SS. Sacramento, quasi spenta, perché gli uomini non vi si iscrivevano per rispetto umano. Egli la fece rifiorire, attirandovi molti confratelli, mossi dal suo esempio. Nelle processioni egli portava il baldacchino»[11]. Nel compiere tutti questi gesti dava sempre il buon esempio, convito che un messaggio importante deve essere supportato da un messaggero coerente, che pratica quello che annuncia, vive ciò che ha interiorizzato; fu soprattutto il suo esempio, come testimoniano molti, a rendere convincente l’annuncio, a dare credibilità a quello che proponeva, a renderlo autentico apostolo.
Nel 1923 partecipa alla chiusura del Congresso Eucaristico nazionale di Genova, evento che vive con immensa gioia e dal quale torna alla sua attività di medico con una preghiera – impegno che scrive dietro l’immagine ricordo del Congresso: «Mio Gesù, mi hai chiamato a Genova credente, fammi ritornare apostolo! Amarti e farti amare». Per questo il suo apostolato diventa anche richiesta di preghiera per le persone che lui avvicina, in questo caso «i carissimi giovani del circolo giovanile della nostra parrocchia, affinché anche nei loro cuori abbia da porre il suo stabile regno il Divino Infante che già con l’esempio della sua nascita ci mostra la sua predilezione per i poveri, gli umili, per i diseredati della terra» (9 novembre1923).
Nell’essere apostolo era anche consapevole dei suoi limiti e delle sue fragilità (scrive alla sorella suora: «io sono assai incostante e molto facilmente mi lascio vincere da una malaugurata neghittosa inerzia che mi fa tralasciare spesse volte il bene e perdere tanto bel tempo che potrebbe essere così preziosamente impiegato» - 20 aprile 1922), per cui si rivolge alla sorella: «Mi raccomando vivamente alle tue preghiere, tanto per noi, quanto per i miei ammalti ai quali ben poco potrei fare senza l’aiuto di Dio» (17 gennaio 1922); «Prega pure per i miei ammalati, affinché con l’aiuto di Dio io possa tornare loro di reale giovamento» (20 aprile 1922).
Un apostolato che realizzava non solo con la parola e l’esempio, ma pure con la stampa; anche in questo caso usa ingegno e creatività, come per diffondere il bollettino parrocchiale; necessitando di fondi per poterlo stampare, cerca alcuni sponsor, per questo coinvolge un suo amico il ragionier Tagliabue, Direttore della Pia Casa degli Incurabili di Abbiategrasso, al quale scrive:  «qualora il bollettino potesse avere un discreto numero di avvisi réclames, il pagamento dei quali contribuirebbe a diminuire le spese, (…) sapendo come Lei abbia numerose conoscenze e relazioni con bottegai ed industriali di Abbiategrasso e di altrove, possa compiere l’opera buona di procurare alcune di queste réclames» (28 aprile 1923).
Un apostolato, sempre in questo ambito, che diventa anche impegno a diffondere la lettura dell’Osservatore Romano (oltre che di alcuni specifici articoli della Civiltà Cattolica, il libro, a lui molto caro, della Imitazione di Cristo), motivandola con queste espressioni: «Diviene quasi indispensabile per i cattolici l’aiuto di un quotidiano che, rispondendo alla massima garanzia morale, si mantiene al di fuori e al di sopra di quelle incomposte passioni politiche, che, talora anche inconsciamente, sono formate di odio e lotte fraterne, ed il quale, con indiscutibile vantaggio intellettuale e spirituale, sa osservare le varie manifestazioni della vita pubblica con serena oggettività alla luce della ragione e del buon senso e meglio ancora a quella fulgidissima della Fede» (12 aprile 1924).
Diviene apostolo anche commentando alcuni brani del Vangelo nelle lettere; aiutando un amico a compiere un discernimento per la futura sposa, spiegando il valore della famiglia e del matrimonio, invitando ai veri valori dello stesso, senza badare ai fattori esterni della bellezza, al colore o alla forma dei capelli, ma alle qualità morali e religiose; a saper unire scienza e fede, come hanno fatto grandi scienziati come: Newton, Pasteur, Volta, per cui «dalle meravigliose armonie della natura si sentivano portati ad amare e lodare la bontà e la sapienza infinita del Creatore» e per questo propone di leggere alcuni passi dalle Osservazioni sulla morale cattolica; il tutto viene fatto con spontaneità e sincerità, certo della necessità di essere preparati, formati e affermanti in materia di fede e di morale, anche per “combattere” idee pericolose e deleterie che venivano diffuse contro la Chiesa e contro la religione cattolica. Anche in questo caso era lui il primo ad informarsi, leggere libri, riviste e articolo che trattavano tali argomenti.  
Diventa apostolo, sempre con rispetto e delicatezza, ma anche con chiarezza e motivando il richiamo, già religioso a Brescia, nel richiamare il cappellano dell’ospedale, al quale, dopo una sua omelia, dice: «Veda, quella parte sarebbe stato bene averla omessa, perché la spiegazione diventa troppo lunga e la gente si stanca»[12], a dimostrare la sua attenzione a quanto avveniva durante la liturgia, ma anche pensando a quanti altri erano presenti, in modo particolare agli ammalati che vi partecipavano.
Si può concludere che san Riccardo, sin dalla sua attività di medico e laico impegnato, già realizzava quanto anni dopo il Concilio Vaticano II definiva circa l’impegno dei laici nell’opera della Chiesa: «I laici, radunati nel popolo di Dio e costituiti nell’unico corpo di Cristo sotto un solo capo, sono chiamati chiunque essi siano, a contribuire come membra vive, con tutte le forze ricevute dalla bontà del Creatore e dalla grazia del Redentore, all’incremento della Chiesa e alla sua santificazione permanente. L’apostolato dei laici è quindi partecipazione alla missione salvifica stessa della Chiesa; a questo apostolato sono tutti destinati dal Signore stesso per mezzo del battesimo e della confermazione. Dai sacramenti poi, e specialmente dalla sacra eucaristia, viene comunicata e alimentata quella carità verso Dio e gli uomini che è l’anima di tutto l’apostolato. Ma i laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo. Così ogni laico, in virtù dei doni che gli sono stati fatti, è testimonio e insieme vivo strumento della stessa missione della Chiesa “secondo la misura del dono del Cristo” (Ef 4,7)» (Lumen Gentium, n. 33).

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