Catechesi Parte 2 - Amici di Lourdes

Amici di Lourdes
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La spiritualità San Riccardo Pampuri
 
II parte
 
 
Da questa catechesi inizieremo ad approfondire più dettagliatamente la spiritualità di san Riccardo Pampuri, ossia come egli visse in modo autentico le virtù umane e cristiane, come queste orientarono e guidarono la sua esistenza e la sua missione, come queste formarono il suo temperamento e carattere, portandolo anche ad un intenso rapporto con Dio, attraverso la preghiera, la meditazione, la frequente e prolungata adorazione eucaristica, oltre che ad un intenso, generoso servizio alle persone ammalate, bisognose e in difficoltà.
 
 
Spiritualità forte
 
Nonostante la sua gracile costituzione fisica e il suo precario stato di salute, originato dall’atto eroico di salvare medicinali e presidi sanitari nei giorni della disfatta di Caporetto, nel nostro Santo è da tutti riconosciuta una eccezionale fortezza d’animo, quella fortezza che, secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica, è «la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni. Dà il coraggio di giungere fino alla rinuncia e al sacrificio della propria vita per difendere una giusta causa» (n. 1808).
 
 
Tutto ciò si rispecchia anche nell’opera e nella vita di san Riccardo, nella sua coerenza e nel suo coraggio di affrontare le diverse vicende dell’esistenza, una fortezza che trovava la sua fonte e la sua origine soprattutto nella preghiera intensa davanti all’Eucaristia e nella quotidiana attiva partecipazione alla celebrazione della Santa Messa, oltre che nelle altre pratiche religiose e in modo particolare il santo Rosario. Era sua consuetudine, quando era medico condotto a Morimondo, iniziare la giornata con la santa Messa e terminare i suoi impegni, prima di rientrare a casa, con l’adorazione eucaristica, sempre nella splendida abbazia del paese, prolungando il suo tempo, dimenticando spesso l’orario della cena. Anche dalla meditazione della Passione di Cristo traeva sostegno e motivazione nel vivere la sua forte spiritualità, come lui stesso attesta, scrivendo alla sorella suora, che proprio questo doloroso evento della vita di Gesù è «stimolo continuo ed efficace a sopportare le croci, ad amarle, a desiderarle per amor suo con quell’ardore vivissimo col quale Egli sospirò di portare quella croce pesantissima» (10 aprile 1924).
 
 
Per lui era fondamentale la vita di preghiera e lo dimostra nell’invitare amici, colleghi, ma anche pazienti e contadini a tre giorni di esercizi spirituali presso i Padri Gesuiti a Triuggio, precisamente a Tregasio (come il Santo scrive nelle lettere), frazione del paese, tanto da scrivere ad un suo amico, il signor Riccardo Milani, che era più importante partecipare a queste giornate, che recarsi a Roma, anche se si celebrava il Giubileo del 1925, e motiva il fatto con queste parole: «Non voglia tralasciare il breve soggiorno in Tregasio! Piuttosto, se dovesse scegliere fra i due, lasci per ora da parte il viaggio di Roma. Roma è certo una città meravigliosa, soprattutto in questo Anno Santo (…) ma se Lei si recasse ora a Roma, prima di essere stato a Tregasio, vi perderebbe la parte più bella e profonda del fascino arcano di questa Città santa del Cattolicesimo. Forse tutto si ridurrebbe ad un esclusivo godimento estetico d’arte e di fredde reminiscenze storiche (…) potrebbe anche essere una mezza disillusione, certo difficilmente varrà a trasformare ed innalzare definitivamente la sua mente e il suo cuore nei mirabili orizzonti della fede» (6 giugno 1925).
 
Era forte e deciso anche nel difendere la sua libertà di coscienza che lo portò a dimettersi dal Sindacato Nazionale Fascista Medici Condotti, perché voleva appartenere ad un partito più corrispondente ai suoi principi morali e politici, e non volendo per qualsiasi interesse materiale rinunciare alla sua libertà di scelta[1]. Forse anche per questa sua chiarezza e fermezza, quando vinse il concorso di medico condotto a Vernate (paese più vicino a Torrino dove vivevano i suoi zii), la condotta fu affidata ad un medico fascista, dato che anche il Podestà e la Giunta municipale erano fascisti, e lui fu costretto a restare a Morimondo[2].  
 
 
Sempre alla sua spiritualità forte è dovuta anche la chiarezza e la delicatezza con le quali rifiuta una proposta di matrimonio, che le era giunta, mediante un’amica, da una signorina appartenente all’Azione Cattolica. Nella sua lettera del 12 agosto 1924 il dottor Erminio scrive: «La ringrazio di cuore del suo atto di grande bontà, mentre devo riconoscere più che mai la mia grande nullità, poiché essa non si vede mai così bene come quando ci si trova oggetto di immeritata stima. Non posso però accogliere la sua tanto onorevole e lusinghiera proposta, poiché non sentendomi chiamato allo stato matrimoniale, vi ho rinunciato definitivamente», e dopo aver citato alcuni brani biblici sull’importanza sia del matrimonio come dello stato verginale, continua: «Non deve angustiarsi di questa mia risposta, poiché se il Signore che tutto dispone in numero, peso e misura per la maggior gloria sua, ed il nostro massimo bene, se il Signore vorrà proprio chiamarla allo stato matrimoniale, non mancherà di mandarLe un più degno e santo sposo».
 
 
Il nostro Santo era già determinato nelle sue scelte, aveva già le idee chiare e le sa esporre e manifestare con il dovuto rispetto, per non illudere le persone, creare false aspettative o restare nell’ambiguità, segno della sua maturità spirituale, fortificata dalla costante meditazione della Parola di Dio, che diventa un suo chiaro e costante punto di riferimento e nella quale trovava illuminazione nel discernere la volontà di Dio.
 
 
Con la stessa determinata delicatezza e chiarezza sapeva anche correggere le persone, dare buoni consigli per una adeguata vita morale; per questo scrive, già Religioso e negli ultimi mesi della sua vita, ad una amico: «Mi permetto un consiglio per la sua buona Paolina che mi sono dimenticato di darle a Torrino. Questo, che più che un consiglio è una preghiera che io prendo dalle ammonizioni incessanti della Chiesa e del Papa, è di voler far allungare un po’ più, meglio se un po’ tanto, le vesti» (29 marzo 1930). Fra Riccardo non voleva certo “castigare i costumi”, o umiliare e mortificare le persone; il suo era un vero invito, che diventava addirittura preghiera, al decoro e al contegno, segni di dignità, e alla buona e coerente testimonianza cristiana, che passava anche attraverso un adeguato modo di vestire.
 
 
Di questa virtù parla anche un confratello che era con lui in comunità a Brescia, che afferma: «Era fortezza in lui, il non abbandonare nelle terribili angosce di casi tormentosi e disperati i degenti e parenti colpiti, mirabile nell’infondere coraggio e rassegnazione e dividere con loro il martirio. Coraggioso pure nell’affrontare le forme più ripugnanti e di ribrezzo, da infermiere oltre che da medico, umile e forte nel riservare a sé la pulizia di piaghe, bende e vasi marciosi, da cui noi rifuggivamo»[3].
 
 
Quella fortezza che, ormai prossimo alla morte, gli fece dire: «Sono contento e felice di aver fatto la volontà di Dio! Cosa abbiamo su questa terra! Siamo sulla via del Cielo e ora che mi vedo vicino a raggiungerlo, sono felice!»[4].
 
 
Spiritualità misericordiosa
 
Papa Francesco, nella Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia (11 aprile 2015), scriveva: «La misericordia nella Sacra Scrittura è la parola - chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi. Egli non si limita ad affermare il suo amore, ma lo rende visibile e tangibile. L’amore, d’altronde, non potrebbe mai essere una parola astratta. Per sua stessa natura è vita concreta: intenzioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano nell’agire quotidiano. La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi. Lui si sente responsabile, cioè desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare l’amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri» (Misericordiae Vultus, 9).
 
 
Parole quanto mai indicative per descrivere come san Riccardo, da vero e buon cristiano, visse in modo autentico questa virtù, che in lui era non teorizzazione o speculazione, ma amore sincero, costante e totale verso Dio e verso i fratelli, soprattutto quelli affidati alle sue cure e alla sua responsabilità, per questo “traduce” la misericordia in opere e verità, sapendo che nel fratello, qualunque persona, era presente lo stesso Cristo; per questo chiede alla sorella suora: «Prega, affinché la superbia, l’egoismo o qualsiasi altra mala passione non abbiano ad impedirmi di vedere sempre Gesù nei miei ammalati, Lui curare, Lui confortare, Gesù sofferente per l’espiazione delle mie colpe, per il suo amore infinito per me. Con questo pensiero sempre vivo nella mente, quanto soave e quanto fecondo dovrebbe apparirmi l’esercizio della mia professione» (5 settembre 1923).
 
 
Più volte nella sua professione di medico condotto manifestò concretamente, ma sempre nel nascondimento, il suo cuore compassionevole e misericordioso, nei piccoli gesti di premura e di cura, nel dare le sue scarpe o un indumento a chi ne era privo, nel pagare le medicine o il pane a qualche povero contadino o nel non farsi pagare la visita, nel donare quanto aveva ricevuto (fosse un salame o una bottiglia di vino o le coperte che lo zio Carlo gli aveva dato per il cavallo), come pure donare una gallina per fare il brodo onde meglio curare una povera donna ammalata, o applicare lui stesso le terapie prescritte e fare le medicazioni, oppure il mandare offerte a favore di varie istituzioni o alle opere missionarie. Il signor Calati, impiegato al comune di Morimondo, testimonia: «Il suo stipendio era di 7-8 mila lire mensili. Verso il 20 del mese egli lo aveva già distribuito ai poveri. Ed allora ricorreva al Calati perché gli prestasse un po’ di denaro per le sue spese personali e per poter fare elemosine»[5].
 
 
Una misericordia che rende sensibile il cuore, compassionevole e attento a quanto accade nella vita e questo lo dimostra anche quando, in zona di guerra scrive: «Quale scempio della povera carne umana, che ferite, che squarci, quante membra fracassate! Speriamo che per la divina misericordia questo flagello abbia a terminare presto, molto presto» (1 settembre 1917); dimostra anche un animo intollerante a ciò che reca danno alle persone, come erano le drammatiche conseguenze della guerra, e il desiderio di vivere tempi di pace e di serenità, necessari al vero progresso della civiltà.
 
 
Nell’esercitare la professione medica, era consapevole della sua responsabilità, che nasce dalla misericordia e che diventa essa stessa espressione di amore, come scrive alla sorella, alla quale chiede di pregare perché egli potesse «attendere con più attenzione ed amore e tranquillità allo studio ed alla cura dei miei ammalati, poiché essendo questi affidati in modo del tutto speciale ed esclusivo a me, per dovere professionale, di questi dovrò rendere speciale conto al Signore” (29 novembre 1926).
 
 
Scrive un confratello (che poi lasciò l’Ordine), che fece il noviziato con Fra Riccardo: «Nel tempo vissuto assieme la mia convinzione verso di lui era proprio che il vero spirito del nostro Santo Padre Giovanni di Dio era in Fra Riccardo. In Fra Riccardo vi erano tutte le virtù del Fondatore. Dalla sua bocca mai un lamento, solo incitamento alla preghiera, alla carità, all’umiltà. (..) Quante volte i confratelli, non perché volessero sottrarsi dai servizi più umili verso il prossimo, verso i poveri infermi specialmente i tubercolotici, cercavano di stare lontani perché facevano schifo: per la semplice ragione, da questi cercavano di allontanarsi, perché non avevano spirito di accostarsi a loro. E questo lo dico io per persuasione, perché anch’io ero nel numero di questi; avevo paura. Ma Fra Riccardo a questi si è sempre avvicinato, facendo loro tutti i servizi più umili e ripugnanti che i confratelli non facevano»[6].
 
 
Una misericordia concretizzata nel suo vivere come testimonia il professor Eugenio Curti che lo ebbe accanto nel servizio presso l’ospedale “Sant’Orsola”: «Come Medico era da me giudicato: colto, coscienzioso, modesto, attivo, premuroso. Come frate infermiere: dimentico volontariamente e per modestia, della qualità sua di medico. Sempre pronto, giorno e notte a qualunque richiesta sia dei medici, sia dei malati, incurante delle fatiche, dei disagi, del sonno pur essendo a lui ben nota la gracilità della propria costituzione, della debolezza dei propri polmoni. Incurante di sé, anche quando seppe che una grave malattia minacciava la propria esistenza. Aveva per tutti i malati una parola buona, un sorriso, una carezza di incoraggiamento»[7].
 
 
San Riccardo, sia da medico che da religioso, vivendo una spiritualità misericordiosa, ci conferma la verità di quanto afferma papa Francesco: «Agli occhi dei cristiani di ogni tempo, i malati sono destinatari privilegiati del lieto annuncio del Regno, sono fratelli in cui Cristo è presente in modo particolare, per lasciarsi cercare e trovare da tutti noi (cfr Mt 25,36.40). I malati sono dei privilegiati per la Chiesa, per il cuore sacerdotale, per tutti i fedeli. Non sono da scartare, al contrario Sono da curare, da accudire: sono oggetto della preoccupazione cristiana» (28 agosto 2019).
 

 
 
 
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