La spiritualità San Riccardo
						Pampuri
						
						IV parte
						
						Spiritualità lieta
						
						San
						Riccardo, nella sua vita e nella sua attività, manifestava anche questo aspetto
						lieto e gioioso dello spirito umano, e vera dimensione di una fede cristiana
						accolta con gratitudine e vissuta con coerenza e fedeltà; una gioia che egli
						attinge soprattutto dall’incontro con Cristo nell’Eucaristia, come emerge dalla
						lettera che scrive alla sorella suora dopo aver partecipato al Congresso
						Eucaristico nazionale a Genova: «Dal gaudio di questi felici momenti di
						amore eucaristico ben si può comprendere, per quanto lo permetta la nostra
						mente limitata, qual gaudio infinito di perfetta felicità ci compenetrerà nella
						beatifica visione diretta di Dio in Cielo» (6 ottobre 1923). Proprio il
						pensare a questa prospettiva di gioia futura ed infinita, che già si poteva
						pregustare nell’esistenza terrena, rendeva gioioso il suo vivere e agire. 
						
						Fin
						da giovane il nostro Santo aveva un atteggiamento e un comportamento sempre
						raccolto, composto, riguardoso; un po’ timido, ma che già viveva le virtù
						dell’umiltà e della semplicità, della mitezza e della serenità[1];
						colpiva per la sua limpidezza e chiarezza della sua intelligenza, unita ad una semplicità
						veramente grande e ad una modestia veramente rara; era mite, ma inflessibile
						nell’esercizio dei suoi doveri[2];
						manieroso, sempre calmo e sempre uguale a se stesso, la cui presenza edificava[3].
						Un suo collega medico testimonia: «Di
						carattere dolce, ma sempre cordialmente rettilineo, fu severo ma sereno
						studente tra di noi, che pur partecipando alle nostre inevitabili gazzarre
						goliardiche, sapeva stare allo scherzo concesso dai limiti dell’onesto e del
						gioviale, con spirito e comprensione, sapeva ritirarsi intelligentemente e con
						umiltà tranquilla nei momenti cruciali, e sapeva essere fedele amico nei casi
						contrari e dolorosi»[4].
						
						Una
						spiritualità che, anche durante il periodo della guerra, mentre si trovava a
						Malonno, in Val Camonica, in un piccolo ospedale da campo, lo porta a scrivere
						alla sorella: «Io godo sempre buona
						salute, ed ora mi trovo in una posizione così comoda e lontana da ogni pericolo
						che non potrei desiderare di meglio. Un paesetto tranquillo di una
						graziosissima valle dove tutto è bello e dove ogni cosa, dai verdi e folti
						castagneti lungo i fianchi dei monti, ai paesetti appesi agli erti pendii sotto
						la dolce protezione di bianche chiesette, (…) tutto ci parla della potenza
						infinita del Divin Creatore, della Sua infinita bontà» (20 agosto 1918). A
						ricordare che, un tale spirito, aiuta a valutare la realtà con obiettività e
						serenità, senza perdersi in lamentele o pessimismo, ma a godere, a vivere
						pienamente il presente e trovare anche nelle esperienze avverse e difficili
						realtà o pensieri che motivano l’agire e aprono il cuore alla speranza,
						affidando il tutto al Creatore.
						
						Dal
						modo di vivere una spiritualità lieta, possiamo comprendere che il Santo non
						era una persona distaccata, seriosa o altezzosa, che disdegnava il
						divertimento, la compagnia e le occasioni gioviali da vivere con gli amici,
						purché non si oltrepassassero certi limiti. Sono, infatti, diverse le testimonianze
						che ricordano anche il suo atteggiamento ilare e gioioso, a tratti scherzoso,
						come quando a Pavia, durante il corso Battaglione Studenti Universitari, salito
						sul tram, dal quale il tramviere era sceso, lui stesso guidò il mezzo per un
						certo tratto[5].
						
						
						Atteggiamenti
						che ricordano positivamente anche i famigliari, come il fratello Agostino, il
						quale afferma che, essendo fin da bambino capace ed industrioso, sapeva fare
						tutto e anche da medico faceva giocattoli perfetti per i nipotini[6]; o
						la sorella Margherita che ricorda: «Mio
						fratello era sempre sorridente e canterellava, anche quand’era stanco della
						visite fatte in giro per la condotta. Non lo vidi mai impazientito. Non si
						lamentava neppure quando, allorché tornava dalle visite, non gli facevo trovare
						pronto il pranzo o la cena»[7]. 
						
						La
						sorella suora, poi, rivelando la vera fonte della sua gioia, afferma che «mi ripeteva sempre che egli si sentiva una
						gioia così grande ai piedi di Gesù Sacramento che ci sarebbe stato delle
						giornate intere»[8];
						mentre il nostro Santo, dopo che la sorella suora ebbe trascorso con lui alcuni
						giorni di vacanza a Morimondo, prima di tornare in Egitto, scrive: «Anch’io ricordo con tanta commozione quei
						felici momenti passati in tua compagnia ai piedi di Gesù Eucaristico, e tale
						dolce ricordo mi fa tanto bene e mi aiuta a ravvivare un po’ di più l’intrepido
						affetto per il Divino Amico, per lo Sposo celeste dell’anima nostra» (19
						gennaio 1926).
						
						Il
						suo maestro di Noviziato afferma che «nel
						passeggio e nelle ricreazioni era sempre lui che sapeva divertire senza mai
						offendere la carità»[9],
						mentre un suo confratello ricorda come si prestasse volentieri e con amabilità
						ai loro scherzi[10].
						D’altronde lo stesso Santo, pochi giorni dopo la Professione Religiosa, scrive
						in una lettera: «Quale grave torto
						faremmo a N. Signore se dovessimo servirLo con una spanna di broncio” (27
						ottobre 1928).
						
						San
						Riccardo, in una lettera alla sorella, ricorda anche la fonte, la sorgente, il
						motivo di questa gioia interiore che animava la sua esistenza, che diventa in
						invito ad imitare il suo esempio: «Ritorniamo
						nell’atmosfera fulgida e serena di Gesù e di Maria, ove l’animo nostro respira
						un’aria balsamica, e il cuore si dilata nell’amor di Dio, del nostro Sommo Bene
						e nella generosa carità del prossimo. (…) Oh come gode il nostro Cuore, come si
						trova felice quando, dimentico e libero delle piccole miserie dell’amor proprio,
						ama generosamente tutto il suo prossimo per amor del suo Dio, e serve e
						ubbidisce ed ama il suo Dio nel suo prossimo. (…) Trionfando in noi l’amore e
						la fiducia piena in Gesù e Maria e la santa carità del prossimo, fuggono come
						nebbie malefiche dal nostro animo tristezza, sospetti e scoraggiamenti, e
						tutto, anche le prove e le aridità e le croci, resta come soffuso di una luce
						nuova, luce soprannaturale nella quale l’anima nostra trova finalmente il suo
						conforto, la sua pace, la sua letizia» (24 giugno 1929). 
						
						Paolo
						VI, nell’Esortazione Apostolica sulla gioia cristiana, Gaudete in Domino
						(promulgata in occasione della celebrazione dell’Anno Santo del 1975), offre
						un’adeguata e illuminata sintesi della spiritualità lieta che visse il nostro
						Santo, ma che diventa invito per ogni cristiano, anche per ciascuno di noi, a
						vivere e testimoniare la gioia che viene dall’incontro con Cristo: «Nella
						vita dei figli della Chiesa, questa partecipazione alla gioia del Signore non
						si può dissociare dalla celebrazione del mistero eucaristico, ov’essi
						sono nutriti e dissetati dal suo Corpo e dal suo Sangue. Di fatto, in tal modo
						sostenuti, come dei viandanti sulla strada dell’eternità, essi già ricevono
						sacramentalmente le primizie della gioia escatologica. Collocata in una
						prospettiva simile, la gioia ampia e profonda, che fin da quaggiù si diffonde
						nel cuore dei veri fedeli, non può che apparire “diffusiva di sé”, proprio come
						la vita e l’amore, di cui essa è un sintomo felice. Essa risulta da una
						comunione umano-divina, e aspira a una comunione sempre più universale. In
						nessun modo potrebbe indurre colui che la gusta ad una qualche attitudine di
						ripiegamento su di sé, Essa dà al cuore un’apertura cattolica sul mondo degli
						uomini, mentre gli fa sentire, come una ferita, la nostalgia dei beni eterni» (cap. IV).
						
						Spiritualità mariana
						
						«Affidandosi
						filialmente a Maria, il cristiano, come l’apostolo Giovanni, accoglie “fra le
						sue cose proprie” la Madre di Cristo e la introduce in tutto lo
						spazio della propria vita interiore, cioè nel suo “io” umano e cristiano. (…)
						Questo rapporto filiale, questo affidarsi di un figlio alla madre non solo ha
						il suo inizio in Cristo, ma si può dire che in definitiva sia orientato verso
						di Lui. Si può dire che Maria continui a ripetere a tutti le stesse parole, che
						disse a Cana di Galilea: “Fate quello che egli vi dirà”» (Redemptoris
						Mater, nn. 45s).
						
						Questa
						espressione di San Giovanni Paolo II ben si addice a presentare l’aspetto
						mariano della spiritualità di san Riccardo Pampuri: egli, orfano della mamma da
						piccolo, educato nella fede, soprattutto con l’esempio, dagli zii di Torrino,
						accoglie nella sua giovane vita una nuova Madre, alla quale riserverà un
						affetto figliale, devoto, sincero e costante, certo della sua materna e premurosa
						vicinanza, protezione e assistenza, senza, però, dimenticare o mettere in
						secondo piano la sua fede in Cristo, il suo ardente amore per il Cuore di Gesù.
						
						Nella
						sua vita, particolare “posto” aveva la recita del Santo Rosario, una pratica
						alla quale era fedelissimo sia in famiglia (e poi in comunità), sia
						individualmente, durante spostamenti o viaggi o attese; la corona scorreva fra
						le sue mani in modo incessante, consapevole che questa preghiera, sempre
						proposta dalla Chiesa, era prezioso strumento per una preghiera di lode, di
						supplica, di intercessione. Del Rosario san Riccardo comprendeva la sua vera
						dimensione contemplativa, senza la quale, come ricorderà papa Paolo VI nell’Esortazione
						Apostolica Marialis Cultus, «il Rosario è corpo senza anima, e la sua recita
						rischia di divenire meccanica ripetizione di formule. (…) Per sua natura la
						recita del Rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che
						favoriscano all’orante la meditazione dei misteri della vita del Signore, visti
						attraverso il cuore di colei che al Signore fu più vicina, e ne dischiudano le
						insondabili ricchezze» (n. 47).
						
						Una
						spiritualità mariana che diventava anche richiesta di preghiera, soprattutto
						quando scrive alla sorella suora: «Intanto
						ricordami molto in questi ultimi giorni del bel mese della nostra Madre Celeste
						affinché nel prossimo mese del S. Cuore di Gesù voglia esaudire la bella
						preghiera dello Stabat Mater: Fac ut ardeat cor meum in amando Christum Deum,
						ut sibi complaceam»
						(17 maggio 1924). Una spiritualità che diventa anche ricordo della cara mamma
						defunta, che, con la sua preghiera, può ancora accompagnare i suoi figli: «Voglia la Madonna, la nostra amatissima
						Madre celeste, anche per intercessione della nostra buona e santa madre defunta,
						concederci la grazia di una sempre più abbondante rugiada di grazie celesti e
						una sempre più pronta e piena corrispondenza onde, reso più fecondo il nostro
						povero cuore, abbiano da fiorirvi in questo bel mese di maggio, qualcuno almeno
						dei fiori a Lei più cari: dal giglio purissimo alla tanto fragrante e graziosa
						viola della modestia e della umiltà, all’ardente rosa della carità» (2
						maggio 1926).
						
						In
						un’altra lettera esprime la gioia di aver potuto recarsi presso il santuario
						mariano di Lourdes e altri luoghi santi della Francia: «Io ho avuto la insperata e specialissima grazia di andare un mese fa a
						Lourdes con la zia Maria: in viaggio ci siamo fermati a Paray-le-Monial nella
						Chiesetta ove Gesù apparve a S. Margherita Maria Alacoque, e a Ars nella Chiesa
						del Beato Curato Vianney» (28 luglio 1924). Si racconta che tornato dal
						pellegrinaggio, la sorella Rita gli chiese: «Ti è piaciuto? È bello il luogo?»;
						 Erminio le rispose: «Sì. Il Santuario è bello, v’era tanta gente, ma ciò
						che più conta è la fede che ho visto in quel luogo benedetto». 
						
						Nell’inviare
						alla sorella suora la fotografia “ufficiale” del suo nuovo stato di vita con
						l’abito da religioso, seduto accanto ad un tavolino rotondo dove è appoggiato
						un libro, che tiene nella mano destra, con accanto una statua della Vergine
						Maria, scrive: «Gradisci il qui unito mio
						ritratto che ti mando per sempre meglio tenermi presente nelle tue preghiere:
						la SS. Vergine, che mi è a fianco nel ritratto, mi sia sempre difesa e guida
						per tutto il resto della mia vita» (23 agosto 1927).
						
						Al
						nipote Giovanni scrive: «E quando avrai
						fatto del tuo meglio, tanto nello studio come nel resto, riponi tutto con piena
						fiducia nel cuore del Signore e della nostra Madre Celeste senza altra
						preoccupazione di un completo figliale abbandono in Loro, sicuro che tutto
						andrà per il nostro meglio» (maggio 1929), e alla zia Maria: «Prega la nostra Madre Celeste che fissi più
						intensamente anche su di me il suo purissimo sguardo onde rendermi per
						l’avvenire un figlio più buono e più degno di Lei, che mi scuota e mi svegli
						dal mio torpore, dalla mia pigrizia, dalla mia tiepidezza cronica e mi infiammi
						di quella fiamma divina di carità che il suo Divin Figlio è venuto a portare
						fra noi» (9 settembre 1929).
						
						Anche
						chi lo ha conosciuto o ha beneficiato del suo servizio, testimonia il suo
						particolare amore a Maria, della quale esaltava la sua bontà, la sua purezza,
						dimostrando, anche così, oltre che con la preghiera del Santo Rosario, la sua
						figliale devozione. Inoltre, se durante la visita ai malati o lungo il viaggio,
						sentiva il suono dell’Angelus di mezzogiorno, anche se si fosse trovato in una
						pubblica piazza o in mezzo a un gruppo di persone, oppure avvertendo il suono
						mentre era in bicicletta, si fermava, scendeva, scoprendosi il capo, tracciava
						con molta calma un largo segno di Croce e, terminata la preghiera, riprendeva
						la strada o la conversazione interrotta.
						
						Una
						devozione che prosegue quanto è religioso e che i confratelli vedono e
						testimoniano, come i giovani aspiranti alla vita religiosa, accolti a Brescia,
						ai quali diceva: «Avete lasciata la mamma, ma ne avete acquistata un’altra
						assai più buona che non quella terrena»[11].
						Inoltre, dopo la visita al Santissimo Sacramento in chiesa, andava anche a
						pregare dinanzi all’altare della Madonna e poi, nel salire le scale per andare
						in Noviziato si metteva a canticchiare a bassa voce le canzoni della Madonna,
						come ad esempio Mira il tuo popolo o
						il Lodate Maria. Non era una cosa
						studiata, ma semplicemente un bisogno del suo cuore, in ogni momento, con
						motivi d’amore per Dio[12].
						
						Una
						devozione sincera che manifestava nel desiderio di poter morire nel mese di
						maggio, mese a lui tanto caro perché il mese dedicato a Maria. Lo testimonia la
						sorella Margherita che lo assisteva a Milano, presso l’ospedale “San Giuseppe”,
						dove era giunto il 18 aprile 1930 da Brescia, per l’aggravarsi della sua
						malattia; ella dice: «Durante gli ultimi giorni della malattia, chiedeva
						spesso: “Quand’è il primo maggio?”»[13].
						Un desiderio che la Vergine Maria esaudì accompagnando questo suo devoto e
						fedele figlio all’incontro con il suo Figlio Risorto nella sera del 1° maggio
						1930.   
						
						Conclusione
						
						A
						conclusione e a sintesi del nostro percorso di approfondimento della
						spiritualità di san Riccardo Pampuri, in questo anno giubilare, è significativo
						quanto ha scritto fra Gabriele Russotto, che fu Postulatore Generale del nostro
						Ordine, che con passione, entusiasmo e dedizione seguì la causa di
						canonizzazione del Santo: «Aveva amato e
						servito il Signore fin dai più teneri anni con fervore, naturalezza e
						semplicità, edificando altamente i suoi compagni di collegio, d’università e
						d’arme, i suoi colleghi, i suoi malati, i suoi confratelli e quanti lo
						conobbero. L’idea-chiave della sua santità era stata di una limpidezza
						cristallina: “Quello che vuole il Signore, lo voglio anch’io”; “Sarò fedele al
						Signore in tutte le occasioni e circostanze delle quali è intessuta la vita di
						ogni giorno: farò le piccole cose con grande amore”»[14].
						
						Nell’immagine
						stampata in occasione della morte di San Riccardo è riportata un’ulteriore
						sublime sintesi della sua vita:
						
						Come l’immagine soave di Fr. Riccardo dottor Pampuri
						
						
						medico chirurgo dei Fatebenefratelli 
						
						così resti imperituro il profumo delle sue virtù non
						comuni.
						
						Umile e modesto visse la sua breve ma operosa
						giornata
						
						tutta nel lavoro e nella preghiera.  
Spirito magnanimo in corpo tanto delicato dovunque passò
						
						Spirito magnanimo in corpo tanto delicato dovunque passò
in seno alla famiglia adorata, nelle aule
						universitarie 
						
						al letto degli Infermi, nelle file della Gioventù
						Cattolica
						
						in mezzo agli ammalati, ai confratelli 
						
						dell’Ordine Ospitaliero di S. Giovanni di Dio
						
						diede prova luminosa di quanto possa il cuore umano
						
						quando è traboccante di amore divino attinto e
						alimentato
						
						nelle lunghe veglie eucaristiche.
						
						Mentre col desiderio lo rincorriamo in cielo
						
						ne raccogliamo gli esempi, ne invochiamo la
						protezione.
						
						