Il Santo della settimana - Amici di Lourdes

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Catechesi Mensile
Dicono di noi
XXIX Giornata mondiale del Malato
   
Desideriamo chiudere questo mese in compagnia dei Santi insieme a San Paolo VI l’uomo che tendeva le mani, come lo ha definito il Papa emerito Benedetto XVI.
 
Il dialogo con la realtà complessa del mondo è stato il cuore del suo pontificato, il dialogo che il Papa non intendeva soltanto come un moto di simpatia e di buona volontà, ma come il punto di incontro. La speranza a cui sempre guardava si traduceva in fiducia in Dio e nell’uomo.              Da questo nasceva l’esperienza dell’incontro. Negli anni tormentati del suo pontificato molte volte il mondo e la Chiesa sembravano allontanarsi l’uno dall’altra, ma lo Spirito e la sua interiore vitalità spingeva il Papa a tendere le mani per «meglio comprendere, meglio condividere le sofferenze e le buone aspirazioni, a confortare lo sforzo dell’uomo moderno verso la sua prosperità, la sua libertà, la sua pace.»
 
Proprio in questi giorni in cui Papa Francesco ha indetto un nuovo Concistoro, Paolo VI ci ricorda che la Chiesa è composta da uomini, essa non è pura dottrina, ma una società, una vita, una storia. Non è un’umanità perfetta, ma è Santa per la sua origine per i misteri che porta con sé, per il suo fine e il suo compito. Solo di Cristo è la Chiesa e solo Lui né è la certezza.
 
La certezza della fede non garantisce che essa appaia come scontata: anche quando sia certa dovrà sempre conoscere il confronto con le avversità della vita e crescere proprio attraverso di esse. Montini però, pur consapevole dell’inevitabile lotta a cui la fede è esposta, e le difficoltà del tempo presente lo manifestano ogni giorno, vede la fede stessa minacciata dal divenire anzitutto pensosa, preoccupata e in guardia costante; mentre per essere feconda, la fede deve essere distesa e addirittura un po’ distratta.
 
In tal senso prega Paolo VI: « O Signore fa che la mia fede sia gioiosa, dia pace e letizia al mio spirito. La letizia è la condizione di quell’affabilità che sola può abilitare il credente all’orazione con Dio e alla conversazione con gli uomini, così che irradi nel colloquio sacro e profano, l’interiore beatitudine del suo possesso.» Ecco che ancora tutto ci porta all’incontro con Dio e poi con gli uomini.
 
La fede poi sia vera amicizia con Dio, sia una consuetudine pratica di rapporto con Lui. «O Signore fa che la mia fede sia operosa e dia alla carità le sue vere ragioni cosicché sia vera amicizia con Te e sia di Te nelle opere, nelle sofferenze una continua ricerca, una continua testimonianza, un alimento continuo di speranza.» Questa preghiera vuole testimoniarci quanto il Papa consideri il rischio facile a cui è esposto il moralista e, cioè, colui i cui buoni comportamenti sono imposti dall’obbedienza all’ideale, piuttosto che dalla fede in Dio e quindi dall’obbedienza filiale alla Sua volontà. Condizione della fede e insieme sua espressione suprema è l’umiltà; grazie ad essa la coscienza credente è sgravata dal compito eccessivo di prevedere tutto e provvedere a tutto, l’umiltà consente alla fede di non sfinirsi in mai terminate verifiche riflessive, ma di aprirsi con fiducia alla testimonianza dello Spirito: «Fa’ o Signore che la mia fede sia umile, e non presuma fondarsi sull’esperienza del mio pensiero e del mio sentimento: ma si arrenda alla testimonianza dello Spirito Santo.»
 
Dalle sue parole si capisce quanto il Papa non sia come spesso lo hanno descritto e come lui stesso nel 1975 afferma di sé: «Il mio stato d’animo? Amleto? Don Chisciotte? Sinistra? Destra? … Non mi sento indovinato. Due sono i sentimenti dominanti: superabundo gaudio, sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione.»
 
Lo spirito umano, giunto ai limiti estremi o resta paralizzato o si capovolge. Paolo VI ha tratto dalla sua interiorità la forza per questo capovolgimento che gli fa dichiarare in maniera esplicita: «credo in Te o Signore.»
 
 
Per chi volesse approfondire:
 
Paolo VI un ritratto spirituale, a cura di C. Stercal, edizioni Studium
 
A. ACERBI, Paolo VI il Papa che baciò la terra, San Paolo
 
R. FISICHELLA, Ho incontrato Paolo VI, edizioni San Paolo
         
Vogliamo iniziare questa settimana che ci accompagna verso l’Avvento in compagnia di Madre Teresa.
 
La piccola suora era fermamente convinta che il Bambino nato nella stalla di Betlemme, un rifugiato, un emarginato, un povero che non poteva stare nelle locande dei ricchi, conservasse ancora la capacità di scandalizzare la società del nostro tempo. Il Natale rappresenta la fiducia di Dio nel genere umano. L’Incarnazione di Dio in Gesù svela la piena misura del destino dell’uomo. Il Dio sconosciuto ci insegna a riconoscerLo nella povertà di una vita umana semplice e limitata. L’Avvento per Madre Teresa deve fornire l’occasione per un’esame di coscienza, l’Avvento è tempo di misericordia, l’Avvento è la stagione dei poveri.
 
La madre insisteva dicendo che la povertà non l’ha creata Dio, l’abbiamo creata noi. Difronte a Dio siamo tutti poveri. È di Gesù che ci prendiamo cura quando andiamo a visitare un povero. Madre Teresa sapeva che visitare un malato, vestire un nudo, nutrire un affamato è un’opera di Misericordia.
 
Madre Teresa vedeva nelle periferie abbandonate, nei corpi martoriati, nei bambini abbandonati, nei moribondi il Cristo Gesù. Serviva i poveri perché sono il corpo di Cristo Gesù. In loro il Figlio di Dio vive e muore e attraverso di loro Dio mostra il proprio volto.
 
La Madre ci invita non solo a servire i poveri, ma anche ad amare la preghiera. La preghiera allarga il cuore sino a renderlo capace di contenere Dio. La preghiera in particolare in Avvento sfama l’anima. Quello che il sangue è per il corpo, la preghiera è per l’anima, ti sostiene con il suo flusso vitale. Tutto il nostro agire deve essere un tela d’amore. Per questo non voleva che il suo operato diventasse un business, doveva rimanere un’opera d’amore. Soleva dire: «Al denaro non penso mai. Arriva sempre per vie misteriose. Non voglio che si accumuli in banca, ne ho bisogno per la mia gente. Tutto ciò che facciamo è per il Signore. È Lui che provvede a noi e se desidera che qualcosa venga fatto, ce ne deve fornire i mezzi. Per questo non provo mai paura perché ho consegnato la mia vita nelle mani di Dio. Credo nella Provvidenza e nella speranza.»
 
Madre Teresa ci invita a compiere opere d’amore sforzandoci di svolgerle con tenerezza e cura, sa che le opere d’amore non sono altro che opere di pace ed irraggiando la pace di Dio attenuiamo ed estinguiamo nel cuore della gente l’odio e la brama di potere. Accettare l’altro con affetto e dolcezza è un’opportunità per tradurre in atto l’amore per Dio. Tutto deve iniziare in casa nostra. Madre Teresa ci esorta ad amarci e vivere in pace nelle nostre famiglie. Se vogliamo diffondere la letizia bisogna che la famiglia la conosca e da lì poi estendersi a tutti.
 
Chiediamo a Madre Teresa di aiutarci nel nostro piccolo a portare la presenza di Dio e la luce di Gesù su coloro che ci circondano e recitiamo la preghiera, scritta dal Santo Cardinale Newman, che viene detta ogni giorno dalle Missionarie della Carità:
 
 
«Aiutami, Gesù, a diffondere la Tua fragranza ovunque mi trovi.
 
Riempimi il cuore del Tuo Spirito e della Tua vita.
 
Penetra il mio essere, affinché la mia vita sia emanazione della Tua stessa vita.
 
Concedi che la Tua luce riverberi in me e in me rimanga. Così che ogni anima con cui entro in contatto possa leggere in me la Tua presenza.
 
Che la gente non scorga me, ma veda piuttosto Te in me.
 
Rimani in me, così che io risplenda della Tua luce, così che gli altri siano rischiarati dalla mia luce. Tutta la luce verrà da Te Gesù.
 
Nulla, neppure il più piccolo raggio sarà mio.
 
Rischiarerai gli altri attraverso me. »
 
La testimonianza di carità di Madre Teresa si riassume nelle parole che su di lei ha pronunciato il Santo Papa Giovanni Paolo II: «Fece sentire agli sconfitti dalla vita la tenerezza di Dio.»
 
 
 
 
(Per chi volesse approfondire:
 
M. Muggeridge, Qualcosa di bello per Dio, edizioni paoline
 
J. Scally, Madre Teresa un cuore infinito, PM edizioni )
San Francesco d'Assisi
Al centro delle nostre catechesi mensili, proposte dall’Assistente Spirituale del gruppo Fra Valentino Bellagente O.H., si trova la lettura della nuova Enciclica del Santo Padre Francesco «Fratelli Tutti».
Motivati dalla firma del documento pontificio sulla tomba del Poverello di Assisi chiediamo a San Francesco di accompagnarci questa settimana.

«Il beato padre Francesco era ogni giorno ricolmo della consolazione e della grazia dello Spirito Santo e con grande vigilanza e sollecitudine educava i nuovi figli con nuovi ammaestramenti insegnando loro a camminare con passo deciso sulla via della santa povertà e della beata semplicità.»
 
Così scriveva nella vita Beati Francisci il suo biografo Tommaso da Celano.
 
Povertà e semplicità sono termini centrali nella vita di Francesco la semplicità, infatti, si contrappone alla sapienza del mondo. San Francesco è semplice, intende e scrive semplicemente le parole del Signore, i fratelli devono essere semplici appunto perché totalmente estranei nei criteri di giudizio e nei modi di essere alla «sapienza» e alla «prudenza» che sono proprie della vita del secolo e che usano gli strumenti da essa offerti.
La povertà e la semplicità di Francesco sono quelle di chi ha smesso di guardare e di vivere secondo gli occhi e i criteri del mondo, costituiti da ragionamenti complessi e capaci di convincere di bastare a se stessi una volta che si è ottenuto tutto ciò che in questo mondo conta, sono invece il modo di vivere e di guardare tutto con gli occhi del Signore e scorgere , in questo tutto che ci circonda con la sua bellezza, la presenza di Dio.
 
Anche nella formulazione della Regola, Francesco non deviò mai da quest’idea che la strada scelta per lui dal Signore fosse la via dell’umiltà e della semplicità. Da questo proposito egli non deviò mai.
 
Nella vita di Francesco chi ha potere sono coloro che non hanno potere: sono gli ultimi, i piccoli del Vangelo e sono loro il cuore della buona Novella: Cristo infatti spogliò Se stesso per farSi uomo e fratello di tutti noi.
 
Anche Santa Chiara condivise questa scelta con Francesco. Agli inizi del suo percorso condivideva in tutto lo stile di vita dei frati: con le sue sorelle viveva negli ospizi, nei pressi dei centri abitati, accoglieva i pellegrini, i bisognosi, gli esclusi dalla società in particolare i lebbrosi.
 
Francesco aveva in sé un profondo impeto missionario espresso nel vivo desiderio di far conoscere e rendere presente Cristo sia nella vita sociale di Assisi sia nel lontano Oriente dove Francesco si spinse per portare il messaggio del Vangelo tra gli uomini attraverso la via del dialogo.
 
Per San Francesco era fondamentale mettere i suoi piedi direttamente nelle orme di Cristo e la vita minoritica era semplicemente la realizzazione di una vita modellata sul Vangelo.
Questa è la radice profonda dell’amore alla povertà e da qui scaturisce il desiderio di condividere la condizione degli ultimi, di servire Cristo nei fratelli più disprezzati innanzitutto i lebbrosi.
 
Il desiderio perciò di rendere presente Cristo tra gli uomini si trasformava nella grande devozione per il mistero dell’Incarnazione. A Francesco dobbiamo proprio la rappresentazione sacra del Presepio che rende concreta agli occhi di chi vi partecipa la povertà in cui nacque Gesù.
 
Affidando tutto al Bambino di Betlemme chiediamo anche noi con molta umiltà a San Francesco di benedire le nostre case e di insegnarci a vivere come lui in perfetta letizia.
 
 
(Per chi volesse approfondire:
 
M.P. ALBERZONI, Santa povertà e beata semplicità, Vita e Pensiero
 
G. MICCOLI, Francesco d’Assisi, realtà e memoria di un’esperienza Cristiana, Einaudi)
   
San Giovanni di Dio
Salve apostolo d’amore Serafino in uman vel..
 
Sono poche parole del canto che ogni anno si sente risuonare all’otto di Marzo, giorno della festa di San Giovanni di Dio. E in queste parole c’è il ritratto della sua vita, della sua testimonianza, una testimonianza bruciante d’amore e di un amore che, avendo ricevuto per primo, ha deciso di portare a tutti.
Abbiamo scelto di iniziare questo  tratto di strada proprio insieme a questo amico che ha nome San Giovanni di Dio perché lo sentiamo davvero come un Serafino, un Angelo che ci protegge camminando con noi.
«Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo e di nostra Signora la Vergine Maria sempre intatta»
La fede di San Giovanni di Dio era incrollabile. A questi suoi pilastri, Gesù e la Vergine Immacolata, dobbiamo attaccarci, specialmente in questo momento di grande sofferenza per l’umanità dove i malati, i poveri, i sofferenti sono tanti, come al tempo di Giovanni.
Lui stesso ci dice: «sono molto afflitto e in grandissima necessità che sono così tanti i  poveri che qui affluiscono che, molto spesso, io stesso sono molto spaventato per come si possa sostentarli; ma Gesù Cristo provvede a tutto e dà loro da mangiare. Essendo questa una casa per tutti, vi si ricevono indistintamente persone affette da ogni malattia e gente d’ogni tipo… e così mi trovo indebitato e prigioniero solo per Gesù Cristo, molte volte non esco di casa a motivo dei debiti che ho e, vedendo soffrire tanti poveri miei fratelli  che si trovano in così grande necessità sia per il corpo che per l’anima, non potendoli soccorrere, sono molto triste; con tutto ciò confido solo in Gesù Cristo che mi sdebiterà, poiché Lui conosce il mio cuore.»
Giovanni è vicino a noi perché per primo ha sofferto al punto da essere portato nell’Ospedale Reale dove venivano curati «i pazzi della città». Proprio questa esperienza molto forte dove vede le persone malate curate con metodi disumani lo porta capire la sua vocazione: «Gesù Cristo mi conceda il tempo e mi conceda la grazia di aver io un ospedale dove possa raccogliere i poveri abbandonati e privi della ragione, e servirli come io desidero.»
Giovanni non poggia mai la sua vita sulle sicurezze umane, sa ben di essere un pellegrino di Dio. Rivolgendosi ad un giovane che gli chiede di accoglierlo presso di lui scrive: «mi sembra che andiate come una barca senza remi: infatti molte volte mi sorge il dubbio che anch’io sia un uomo senza un indirizzo fisso, cosicché siamo in due a non saper che fare né io né voi. Ma Dio è quello che sa e rimedia.»
Nella vita di San Giovanni di Dio c’è un incontro importante: un uomo di nome Antòn Martin. Un giorno quest’ultimo ricevette una notizia che avrà una forte incidenza sulla sua vita futura. Un suo fratello era stato assassinato da un tale chiamato Pedro Velasco. Infuriato e desideroso di far giustizia dell’assassino ottenne che fosse messo in carcere, ma non contento di ciò proseguiva nell’intento di ottenere per lui la sentenza di morte. Avendo saputo ciò Giovanni di Dio andò da Antòn Martin chiedendogli il perdono per l’assassino del fratello. Antòn Martin perdonò e fu talmente impressionato da Giovanni che decise di diventare il suo primo compagno proprio insieme al suo nemico Pedro Velasco che è oggi Servo di Dio.
Questi i miracoli dell’amore che riusciva a compiere San Giovanni di Dio.
Ecco i primi Fatebenefratelli .
A tutti è possibile raggiungere la Santità, ciascuno nel suo stato come Giovanni ci dice, e seguendo la propria chiamata d’amore.
Così Giovanni ci lascia una traccia di essenziale piano di vita spirituale.
«Tutti i giorni della vostra vita guardate a Dio, assistete sempre all’intera Messa, confessatevi frequentemente se sarà possibile; non dormite in peccato mortale neppure una notte, amate Nostro Signore Gesù Cristo sopra tutte le cose del mondo, perché per molto che Lo amiate molto di più Lui ama voi.
Abbiate sempre la carità perché dove non c’è carità non c’è Dio, anche se Dio è in ogni luogo.
Il fratello minore di tutti, Giovanni di Dio.»
(Se qualcuno sentisse il desiderio di approfondire la vita di San Giovanni di Dio suggeriamo: Francesco de Castro, San Giovanni di Dio, Vita e opere. CENS
Per conoscere i Fatebenefratelli https://www.fatebenefratelli.it)
   
                           
   
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